di Pietro Ichino
Basterebbe l’aggiunta di due righe ai “protocolli” emanati nella primavera scorsa per sciogliere definitivamente il nodo dell’obbligatorietà della vaccinazione per chi lavora in azienda; ma anche nel sindacato confederale è diffusa l’indulgenza verso i renitenti.
Un argomento che affiora qua e là contro il dovere dei lavoratori di vaccinarsi, quando ne è offerta loro la possibilità, viene tratto dall’articolo 29-bis del c.d. “Decreto Liquidità” (n. 23/2020), convertito con la legge n. 40/2020, che vincola gli imprenditori ad applicare, contro la diffusione del contagio, i “protocolli” convenuti tra Governo e Parti sociali nella primavera scorsa: in quei “protocolli” l’obbligo di vaccinazione non è previsto.
Dunque – si sostiene da qualche parte – la vaccinazione non può essere richiesta dai datori ai prestatori di lavoro. Hai un bell’obiettare a chi sostiene questa tesi che nella primavera scorsa la vaccinazione non poteva essere prevista come misura di sicurezza dovuta, perché allora i vaccini erano ancora lontani dall’essere disponibili; i renitenti al vaccino ti rispondono: “se i sindacati e gli imprenditori ne sono davvero convinti, che aggiungano ora questa previsione nei protocolli”.
Difficile contestarlo: per risolvere il problema dei renitenti, almeno dal punto di vista giuridico, basterebbe concordare l’aggiunta di una riga, cosa che sindacati e associazioni imprenditoriali potrebbero fare in mezz’ora via Zoom. Ne parlo con un alto dirigente di uno dei tre sindacati confederali, il quale mi dice “Eh, la fai facile… Anche qui dentro c’è qualcuno che ritiene che i lavoratori non possano essere obbligati a vaccinarsi; qualcuno che ti risponde: ci pensi il legislatore”.
Ecco, quando sento questi discorsi capisco perché il sistema delle relazioni industriali è così debole di fronte alle ingerenze e intrusioni della legge. Su una questione di vitale importanza come questa avrebbe la possibilità di affermare il proprio primato nella disciplina dei rapporti di lavoro e di valorizzare la propria maggiore reattività in relazione alle esigenze concrete; invece preferisce farsi togliere le castagne dal fuoco da un legislatore capace di grandi invadenze e intrusività, ma anche di altrettanto grandi lentezze. Peccato davvero.
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino