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Verso il tramonto del sovranismo? Costruire la speranza

Giovanni Cominelli sabato 19 Novembre 2022
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di Giovanni Cominelli

Due gli eventi mondiali nel corso della settimana alle nostre spalle: il G20 di Bali, in realtà G19, causa assenza “ingiustificata” di Putin, e la COP27, Conferenza sul Clima di Sharm el Sheik. “Mondiali” significa che si pongono intenzionalmente nella prospettiva di un governo, o meglio di una governance, del Pianeta. I Documenti conclusivi di questi incontri forse fanno fare un passo in avanti al mondo sulla via della pace e del miglioramento universale o forse vendono solo illusioni, non sarebbe la prima volta. Forse sono farmaci efficaci per le malattie del mondo o forse solo l’ennesimo placebo. In ogni caso, servono a ciascun individuo su questa Terra per costruire la speranza. Lo stato del mondo influisce sulla nostra psicologia individuale, ne determina le dinamiche, gli alti e i bassi.  La percezione del venir meno di un governo del mondo si è diffusa a partire dagli inizi del Millennio. L’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre ha messo in evidenza che quella del governo unipolare del mondo, che la Storia ci metteva spontaneamente sul piatto, era un’illusione e che potenti forze sotterranee stavano emergendo dal vecchio ordine bipolare, andato in frantumi nel 1989. Da allora abbiamo incominciato tutti e ciascuno ad avere paura. Paura di che? Di cadere in preda a forze anarchiche e incontrollabili. Di essere lasciati indietro, mentre altri si slanciavano di corsa verso il futuro? Di essere “sostituiti” da nuovi invasori e da nuovi barbari, avidi delle nostre opportunità e delle nostre ricchezze… Le veloci trasformazioni tecnologiche del lavoro e della comunicazione tra gli esseri umani, i movimenti migratori, il calo demografico, l’invecchiamento biografico hanno fatto saltare nel giro di un paio di decenni le nostre “magnifiche sorti e progressive”… Insomma, il futuro ha cessato di essere una Terra promessa, ci siamo buttati sul “qui e ora”, piegati sul presente, avendo paura di sollevare lo sguardo, ciascuno generazione a modo proprio, con un proprio sguardo.

Si tratta di “paure occidentali”, insorte nell’Emisfero nord- boreale, l’Emisfero bianco. Ci sono paure di tutt’altro tipo in Africa, altre in Asia, ma assai meno epocali delle nostre. Il fatto è che il mondo fondato nel 1492 si sta contraendo. Cadono ad uno ad uno i nostri primati, da quello demografico, a quello produttivo, a quello tecnico-scientifico, a quello culturale, a quello ideologico, a quello militare.

I movimenti nazionalisti e sovranisti in questo Emisfero hanno raccolto la messe di queste paure. Se il mondo è una minaccia, se la globalizzazione ci sradica, separiamocene! Ci chiudiamo, noi Italiani, tra le Alpi e il Mare nostrum, padroni a casa nostra. Lo Stato-nazione è pur sempre il nostro rifugio e la nostra radice. Basta secessioni o federalismi: l’unità nazionale, in salsa sovranista, è il nostro usbergo. Dio, Patria e Famiglia: non importa se al primo non si crede più, se la seconda è spesso solo la copertura di interessi corporativi e familistici e se della terza si pratica contemporaneamente più d’una. Quella dell’autoisolamento è stata la tendenza di tutto il Nord Boreale, dalla Brexit del 23 giugno del 2016, all’elezione di Trump gli Usa nelle elezioni del novembre 2016, alle elezioni presidenziali in Francia del 2017 – Marine Le Pen arriva al 21,30% dei voti al primo turno – alle elezioni tedesche del 2017 – AFD, destra filo-nazista arriva al 12,6% – alle elezioni italiane del 2018, in cui partiti sovranisti e anti-europei arrivano con la Lega di Salvini al 17,37% e il M5S al 32,68%. Gli anni tra il 2016 e il 2018 sono, dunque, gli anni in cui fiorisce il sovranismo, che si allea, in Italia, con il populismo anti-Casta, essendo la Casta identificata con la classe politica liberale e globalista finora governante.

E benché Putin parli con disprezzo dell’”Occidente collettivo” in pieno declino di civiltà, anch’egli sente il declino demografico e di civiltà e reagisce, fin dalla Munich Conference Security del 2007, con la rivendicazione di uno spazio neo-imperiale, del quale l’aggressione alla Georgia del 2008 e al Donbass del 2014,  l’annessione della Crimea nel 2014, l’intervento in Siria nel 2015 e l’aggressione all’Ucraina nel 2022 sono i tasselli fondamentali.

Pare, ora, che il tempo del sovranismo/nazionalismo stia tramontando. Le persone stanno sperimentando che non solo non possono resistere da sole allo tsunami del cambiamento, ma neppure basta che si stringano attorno al proprio Stato-nazione, se, come inevitabilmente accade, il conflitto e la competizione si scatenano al livello degli Stati e se i piccoli sono piegati da quelli più forti. Puoi avere più di una ragione, per esempio, sulla necessità che il fenomeno immigratorio non pesi solo sul tuo Paese. Ma poiché si tratta di un fenomeno enorme e poiché non si può trattenere con le mani un flusso che si rovescia fragorosamente dal bacino traboccante dell’Africa a quello sempre più vuoto dell’Europa, le persone cominciano a capire – persino i governanti sovranisti/nazionalisti – che la dimensione puramente nazionale è del tutto impotente e che dunque, occorrono elementi di governance comune tra gli Stati-nazione. Ancora più evidente la necessità di un approccio collettivo al tema del cambiamento climatico. Ci si può dividere su quanto esso dipenda dalla Natura, che fa il suo corso, e quanto dall’azione degli uomini, ma è certo che gli effetti non conoscono frontiere e perciò le azioni di contrasto non possono essere che concordate e contrattate su scala globale, in ambedue gli Emisferi. Insomma: il legittimo interesse nazionale si difende molto meglio in un contesto collaborativo europeo e mondiale.

Procedere insieme ad affrontare i problemi e a trovare le soluzioni è il modo concreto di costruire la speranza. La speranza è il prodotto razionale di una comunità di uomini, che si rendono conto dei propri limiti individuali o di nazione nell’affrontare i rischi e le minacce. Se “ne rendono conto”, se si fa una battaglia incessante sulla realtà/verità del mondo. La speranza può avere solo due fondamenti: o una fede, che la ancori ontologicamente oltre la Storia degli uomini o, per i non credenti, la semplice realtà delle cose presenti. In ambedue i casi, il fondamento è una visione del mondo. Costruire l’interpretazione/visione del mondo/speranza è il presupposto fondamentale per tentare di non perdersi nella Storia del mondo, perché solo l’interpretazione fornisce gli appoggi per la scalata.

La cattiva prova fornita dalle correnti cattoliche, protestanti e ortodosse del fondamentalismo religioso, quassù nell’Emisfero bianco, la crisi dell’ideologia comunista – che Edgar Morin ha definito come  “una gigantesca speranza all’interno di una gigantesca menzogna – “la morte di Dio” e la scristianizzazione dell’Europa, l’insorgenza dei nuovi idoli pagani della “cancel culture”, l’adorazione ecologica del Pianeta – fino al punto di considerare la specie umana pericolosa per il pianeta – tutto ciò ha fatto saltare i quadri concettuali dentro i quali abbiamo pensato il mondo e la storia dal 1492. Per continuare a elaborare un pensiero di liberazione e di sviluppo pacifico della specie, che, secondo Antonio Guterres a Sharm el Sheik sta correndo “su un’autostrada verso l’inferno con il piede sull’acceleratore”, serve a tutti noi un pensiero, cioè chierici, intellettuali, giornalisti non servi dei poteri di turno. La speranza nasce dalla verità. Del resto, la successione logica delle virtù teologali è proprio questa: fede-verità, speranza, carità-costruzione della città umana.

 

Editoriale da santalessandro.org, sabato 19 novembre 2022

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