di Mauro Zampini
Ai guai mondiali, l’Italia ne aggiunge uno tutto suo. La politica sta cambiando in tutto i mondo democratico, ma da noi neanche il rischio del disastro distoglie l’attenzione dei partiti dalle prossime elezioni. Prima il consenso, poi il paese. Nei primi decenni di democrazia, tra il 1948 e gli anni novanta, lo scontro politico aveva un solo limite, invalicabile: la difesa del paese dai pericoli esterni. I partiti erano modellati secondo lo scarno ma inconfondibile art. 49 Cost.: associazioni di persone che si uniscono liberamente per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Una grande Costituzione prometteva una bella democrazia, ariosa, aperta.
In quei primi decenni non ci fu bisogno di difendere la Costituzione dai propri partiti. Però, quei partiti una cosa non fecero, forse per tenersi le mani un po’ libere: riempire di contenuti e di sanzioni quell’art.49. Un errore grave, imperdonabile, evitato in altri paesi europei, è all’origine della degenerazione odierna dei partiti, della libertà di farsi un partito ognuno a modo suo, di una conseguente anarchia istituzionale.
La fine dell’impero comunista, 1989, e due eventi interni producono un terremoto nei primi anni ’90. L’’introduzione del sistema elettorale maggioritario attraverso il trionfo dei referendum elettorali promossi da Mario Segni, che destabilizza buona parte del sistema politico; e, ancor più, la dissoluzione dei cinque partiti che avevano governato per un intero quarantennio. Incapaci di rigenerarsi davanti all’azione formidabile e implacabile dei magistrati della procura di Milano. Un nuovo partito, una potenza economica e mediatica raccoglie tutti quegli gli elettori, spaesati e orfani, nel nome di un pericolo peraltro scomparso, il partito comunista. Nulla riconduce all’art.49. La libera associazione diventa reclutamento di dipendenti, come fa un datore di lavoro; la politica, fino a quel giorno passione, diventa subordinazione. Il metodo democratico, il diritto al dissenso, la competizione interna per la guida del partito, lasciano il posto ad un proprietario, immutabile. Altri fanno altrettanto. Si avvia la disgregazione di una comunità istituzionale.
Protagonista assoluto, il governo si ispira a modelli presidenziali, senza cambiare una virgola della Costituzione. Basta inserire nelle liste elettorali il nome del candidato, perché il governo sia eletto dal popolo. Si giunge a manifestare sotto le camere contro la nascita del governo che nasce nella camere, sottendendo un attentato alla Costituzione, ovviamente perpetrato dal capo dello Stato. Il fastidio verso questa figura di garanzia, rivelatasi tanto potente quanto sembrava simbolica, occhieggia spesso nei presidenzialisti di fatto. L’attentato alla Costituzione si sarebbe avuto se Mattarella avesse ostacolato la nascita di questo governo, identico nella struttura al precedente.
La vittima principale, però, di questa disgregazione funzionale è il parlamento. Le due camere, si ritrovano private per intero della propria principale funzione, quella di approvare le leggi: se ne appropria il governo. Ne diventa, Il nuovo, vero, esclusivo titolare. Alle Camere resta lo spazio di un voto per ogni legge, non di più. Un voto di fiducia a quel governo.
È contestato il principio della separazione dei poteri, stampella di tutte le democrazie, parlamentari o presidenziali. Si punta alla concentrazione dei poteri nella figura del capo del governo. Viene stravolto il concetto di rappresentanza, il nostro modello di sovranità popolare. Gli elettori mettono una croce su una lista di nomi, votano un partito. Si apre un fossato tra elettori e parlamentari, si recide il fondamentale legame di conoscenza e responsabilità tra eletto ed elettore. Ad essere rappresentati dai parlamentari non sono gli elettori, ma le oligarchie o monarchie che tengono in pugno i partiti. Da ultimo, il movimento 5 stelle, elimina la delega tra cittadini e parlamentari, trasformandoli da delegati a replicanti. Si completa l’opera di degrado della funzione parlamentare, con il taglio feroce dei vitalizi ai vecchi rappresentanti della nazione, eletti nelle camere in rappresentanza dei partiti tradizionali, e con la riduzione del numero dei parlamentari. Due sfregi, nemmeno un perché.
In sintesi, si verifica un reale esproprio di funzioni dai legittimi proprietari a soggetti abusivi, sulla base dei rapporti di forza reali. Non tutti i partiti la pensano così; ma quelli con le radici antiche assistono, indolenti e impotenti. La Costituzione non cambia di una virgola, ma è stravolta. Un velo, sottile ma fino ad oggi assai resistente, tiene ancora in piedi il nostro impianto costituzionale. Quel velo è la figura del capo dello Stato, rivelatasi, nella semplice formula di garante della Costituzione e nella felice scelta delle ultime personalità, un ostacolo a disegni pericolosi. Si elegge il successore di Mattarella tra un anno e mezzo. Quel velo potrebbe scomparire.
montesquieu.tn@gmail.com
Di ruolo alla Camera dal luglio 1969. È stato segretario delle Commissioni Difesa, Interni e Affari costituzionali. Segretario generale dal 1994 al 1999. Nominato prefetto di prima classe dal Consiglio dei ministri nel novembre 1999, assume l’incarico di Presidente del Comitato tecnico scientifico per il controllo e la valutazione strategica nelle amministrazioni dello Stato. Dal 2007 al 2015, Consigliere di Stato di nomina governativa. Collabora su temi istituzionali e di amministrazione pubblica coi il Sole 24 ore, Adige e Alto Adige.