di Pietro Ichino
Se il lavoro domenicale è dannoso, perché vietarlo solo negli esercizi commerciali, e non anche nei ristoranti, nei bar, nei cinema e teatri, e in tutte le altre attività nelle quali il lavoro oggi è lasciato pericolosamente libero?
Capisco la preoccupazione del Governo che per il rilancio dell’economia italiana non bastino il “decreto dignità”, lo stop ai cantieri della linea Torino-Lione e del Terzo Valico, lo stop alla ricerca degli idrocarburi nell’Adriatico e nello Jonio, l’aumento dello spread conseguente agli attriti con la Commissione Europea sul deficit di bilancio, la ristatalizzazione di Alitalia, il prepensionamento di qualche centinaio di migliaia di lavoratori finora in attività e l’istituzione, col “reddito di cittadinanza” di fatto esente da qualsiasi controllo, di un potente disincentivo all’attivarsi nel mercato del lavoro regolare.
È necessario anche contenere l’eccesso degli acquisti degli italiani nel fine settimana, imponendo la chiusura degli esercizi commerciali almeno in metà delle domeniche.
A questo proposito, però, vorrei porre al ministro del Lavoro e dello Sviluppo Di Maio una domanda.
Se lasciare i cittadini liberi di collocare il riposo settimanale dove meglio credono è davvero dannoso per l’economia e per le famiglie, perché impedire il lavoro domenicale soltanto agli addetti alla vendita di beni di consumo, e non anche agli addetti ai ristoranti, ai bar, ai cinema e teatri, alle radio e tv, ai ferrovieri, ai piloti, ai tranvieri, ai giornalisti, ai calciatori, ai liberi professionisti, ai ciclo-fattorini, e a i tutti i molti altri che il Governo vuol lasciare pericolosamente liberi di lavorare?
Se poi la vera preoccupazione del Governo fosse invece di tutelare la libertà religiosa dei cittadini, cui il lavoro domenicale potrebbe inibire la partecipazione alla messa, la domanda sarebbe questa: sa il ministro che all’Assemblea Costituente, nei lavori preparatori dell’articolo 36, con il consenso anche dei democristiani, l’espressione “diritto al riposo festivo” è stata sostituita con “diritto al riposo settimanale” in omaggio alla laicità dell’ordinamento statale e alla libertà di scelta, da parte dei cittadini, del giorno di non lavoro? E che sostanzialmente lo stesso ha fatto nel 1996 la Corte di Giustizia europea?
Già pubblicato su www.pietroichino.it
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino