di Danilo Di Matteo
Secondo una celebre canzone di Claudio Baglioni, “viva viva viva l’Inghilterra pace donne amore e libertà”. E basta guardare ai colori di Libertà eguale per coglierne le suggestioni british.
Anni addietro scrissi un articolo dedicato al libro di Richard Newbury Elisabetta I Una donna alle origini del mondo moderno. Ne riporto un passo, scusandomi per l’autocitazione: “Per comprendere il lungo regno della regina Elisabetta I non si può non tener conto di fenomeni come il ‘capitalismo dei gentleman’, l’emergere della gentry, la coesistenza di aree particolarmente sviluppate con altre ancora molto arretrate, i lunghi periodi di crisi e inflazione.
E quanti paradossi nella vita della sovrana! Vergine per antonomasia (una sorta di Madonna degli inglesi), eppure tanto sensuale e seduttiva, abituata da ragazzina ai giochi erotici con Lord Thomas Seymour, secondo marito della matrigna (rimasta vedova) Catherine Parr; e poi, divenuta adulta, la passione per ‘il dolce Robin’ e in seguito per il conte di Essex, che si rivelerà un cospiratore. Non solo: ella era insieme una donna decisa e determinata e una persona tormentata da mille dubbi e ripensamenti.
Il suo capolavoro, però, fu quello di ‘inventare una tradizione’, come spesso accade agli inglesi: fare della chiesa anglicana un’espressione originale del suo popolo, che coniugava il cristianesimo evangelico con la conservazione di parte della liturgia e della gerarchia cattolica. Non a caso Elisabetta, che pure aveva incoraggiato John Knox a diffondere il calvinismo in Scozia, considerava i puritani forse più pericolosi dei papisti; e la ‘via di mezzo’ anglicana era in effetti l’abito più adatto per il suo regno. Ella considerava prioritario il rispetto formale delle indicazioni religiose ufficiali, non volendo tiranneggiare sulle coscienze né ‘aprire finestre nel cuore delle persone’. Anzi arrivò a chiedere a un ambasciatore: ‘Perché Filippo II (di Spagna) non lascia che i suoi sudditi vadano all’inferno nel modo in cui preferiscono?’”.
Ecco, Elisabetta II, come si suol dire, a differenza di Elisabetta I, non ha “governato”, pur regnando. Ma come non scorgere, ad esempio, l’apparente contrasto tra il suo porsi, fin da ragazza, al servizio dei doveri e della nazione e il suo amore per il bellissimo principe Filippo? Ella, poi, nel solco e in difesa della tradizione, ha comunque patrocinato Londonistan (e non in senso spregiativo), metafora dell’Inghilterra multiculturale e rispettosa delle differenze comunitarie. Senza smettere di considerarsi “Difensore della Fede” e “Governatore Supremo della Chiesa d’Inghilterra”. Ponendosi così come una “sorella maggiore” (altro che nonna) per chi, ad esempio, come me segue da anni in maniera partecipe l’universo di fede metodista (John Wesley, padre del metodismo, era anglicano).
Molti profetizzano ora, dopo la sua morte, lo smembramento del Regno Unito. Certo, non sarà facile coniugare, poniamo, le istanze dell’Ulster con quelle di Londra o della Scozia. I fatti e il tempo offriranno delle risposte. Ma, ne sono certo, il Commonwealth non è solo un residuo d’altri tempi e, come non mi stanco di ripetere, la grande vocazione della Gran Bretagna nell’ambito dell’Occidente è di fungere da ponte tra l’Europa continentale e il Nord-America. In tal senso non c’è Brexit che tenga.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).